ONE SHOT IN GARA

Siete tutti invitati a leggere per poi votare!

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    Qui verranno postate in ordine sparso le One shot in gara per il concorso!
    Siete tutti invitati a leggere e a votare la vostra preferita nel sondaggio che verrà aperto il 28 giugno!
    In bocca al lupacchiotto a tutte!!!

    INDICE delle one shot:

    #01 - Change
    #02 - Solo
    #03 - Il potere di una carezza
    #04 - Alone in my mind
    #05 - Broken

    Edited by anyaccia - 2/7/2010, 10:25
     
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    Titolo: Change
    Licantropo scelto: Jacob Black
    Personaggi: Jacob Black, Billy Black
    Breve trama: La one-shot è ambientata in New Moon. Jacob sta tornando a casa dopo aver trascorso la serata con Bella e Mike, ma durante il viaggio di ritorno strane sensazioni si impossessano di lui, sfociando poi in una trasformazione inaspettata.


    Change




    Ingranai la marcia. La strada per La Push non mi era mai sembrata così lunga e difficile, ma in quel momento appariva eterna. La mano che stringeva il volante prese a tremare impercettibilmente, mentre gocce di sudore cominciarono ad imperlare la mia fronte, che a detta di Bella, era febbricitante.
    Fottuta influenza. Proprio durante il mio quasi appuntamento con Bells doveva presentarsi?
    Scossi la testa, e provai a tenere gli occhi aperti – ormai arrossati e brucianti - strizzandoli e poi spalancandoli; speravo di poter mantenere quella posizione almeno fino al rientro a casa.
    Non mi andava di fare un incidente: mi erano costati giorni e giorni per ricostruire la Golf.
    Spinsi il piede sull’acceleratore, e l’auto prese il volo, ma la sola azione mi provocò un dolore lancinante alla gamba.
    “Merda...”, imprecai, mentre svoltavo verso destra. Quanto mancava ancora? Per distrarmi pensai alla stupida serata appena passata al cinema, che era stata “casualmente” interrotta da quel pagliaccio di Newton. L’unica cosa che mi rallegrava era il fatto che a Bells non interessasse minimamente quel tipo, ma ciononostante, non riusciva a lasciarsi andare con me. Maledetto Cullen, le aveva proprio fatto il lavaggio del cervello!
    Ma io non mi sarei arreso; avrei continuato a ronzarle intorno, concedendole però del tempo per riflettere. Per lei sarebbe stato più facile…forse.
    Inchiodai davanti casa, ignorando la scarsa collaborazione dei muscoli. Mi sentivo privo di forze, debilitato; una sensazione mai provata prima. Mi trascinai fuori dall’abitacolo, gemendo e ansimando per la fatica, e chiusi la portiera con delicatezza: a quanto pare anche le braccia erano fuori uso. E poi sudavo, sudavo, come se avessi passato troppo tempo chiuso in una sauna. Il vento fresco della sera mi fece rinsavire e mi permise di inspirare una densa boccata d’aria. Ero stranamente a corto d’ossigeno.
    “Sono tornato”, borbottai, sfinito, appena fui in casa. Papà distolse per un istante lo sguardo dalla partita per salutarmi.
    “Ciao figliolo. Sei in anticipo”. Dopodichè si immerse nuovamente nello schermo del piccolo televisore.
    “L’amico di Bells ha vomitato dappertutto”, sussurrai. Feci una smorfia di disgusto ripensando alla puzza che aveva riempito l’interno della Golf. Ma avevo tenuto i finestrini abbassati, per cui il fetore si era già abbondantemente dissolto, rimpiazzato dall’odore di terra bagnata. “Forse sono stato contagiato anch’io”, brontolai.
    Papà si voltò nuovamente verso di me e cambiò di colpo espressione. Ora sembrava diffidente.
    Senza aspettare la sua probabile domanda riguardante i sintomi, mi diressi in camera mia, a spalle curve, gli occhi semichiusi, strascicando i piedi. Ero distrutto.
    “Hai un’aria strana”, lo sentii mormorare, la voce attutita dalla lontananza.
    Scossi la testa, troppo intontito per blaterare una battutina delle mie.
    Arrivai in camera lentamente, poi mi sfilai la maglietta umida, lamentandomi per il dolore acuto ai muscoli.
    Mi distesi sul letto, godendomi la piacevole frescura delle lenzuola, con l’intento di dormire e di conseguenza riposarmi, ma appena chiusi gli occhi, il cigolio della sedia a rotelle che si avvicinava sfumò il mio piano.
    “Cosa c’è, papà?”, mugugnai, con una parte della bocca schiacciata contro il cuscino.
    Era incerto; si era fermato davanti al letto varando chissà quali ipotesi. Poi la sua mano si poggiò sulla mia fronte.
    “Ehi! Hai le mani ghiacciate!”, protestai, sottraendomi al tocco.
    “Sei tu che sei bollente”, si difese lui, a occhi bassi.
    Fissai la sua fronte rugosa, l’espressione del volto non del tutto rilassata. “Influenza, papà. Non c’è motivo di preoccuparsi”, mi strinsi nelle spalle ma una fitta di dolore mi colpì dritta in mezzo alle scapole.
    Sbuffai sonoramente, guardando Billy che si dirigeva lungo il corridoio. Dopo pochi istanti lo sentii parlottare concitatamente con qualcuno, al telefono, ma non badai al discorso.
    Mi preoccupavo piuttosto di sopportare la tortura. Le ore seguenti, infatti, furono un’agonia.
    I muscoli mi dolevano, pulsavano; li sentivo contrarsi ed espandersi. I gemiti di dolore, inizialmente solo sussurrati, divennero grida con il passare dei minuti. La testa mi scoppiava.
    Mi giravo e rigiravo nel letto, per trovare una posizione adatta, ma ogni volta era una fitta lancinante fino in fondo alle ossa.
    “Come ti senti?”, chiese papà, la voce roca. Non l’avevo nemmeno sentito entrare.
    “Da schifo”, bisbigliai, con il poco fiato che mi era rimasto in gola. Mi voltai per guardarlo. “Che dici, papà? E’ il caso di chiamare un medico?”, tentai di far sembrare il mio tono di voce il più sarcastico e acido possibile, ma ne uscì un lamento straziato.
    Altra fitta all’addome. Un altro dolore alle gambe. Al petto.
    Sembrava che mi stessero mitragliando. “Papà!”, gridai, quando lo spasmo al petto cominciò ad espandersi lungo tutto il corpo. Era continua. Una tortura continua.
    Ansimai, chiudendo gli occhi e stringendo i denti. Le goccioline di sudore cominciarono a scendere lungo le guance.
    “Non è influenza”, disse. Dovetti concentrarmi per riuscire a sentire tutta la frase. Avevo le orecchie otturate dal battito martellante del mio cuore.
    Cosa mi stava succedendo allora? Stavo per morire? Era quella, dunque, la mia fine? Malattia rara e sconosciuta…
    Bells, la mia piccola Bella. L’avrei lasciata in balia dei ricordi? L’avrei consegnata direttamente nelle mani di Newton? L’avrei mai più rivista?
    “Sai qualcosa che io non so?”, chiesi, quando il dolore mi diede un po’ di tregua. Mi asciugai la fronte con un braccio, fissando il soffitto. Non avevo il coraggio di guardarlo.
    “Forse”
    Digrignai i denti. “Avanti papà!”, urlai, sorprendendo me stesso del tono che era riuscito a raggiungere la mia voce. “Sputa il rospo!”, balzai in posizione retta, sedendomi sul bordo del letto.
    Gli spasmi erano ormai diventati un sottofondo. Il dolore faceva da sfondo alla mia rabbia.
    Perché non parlare chiaro? Cosa sapeva Billy che io non potevo sapere?
    Cominciai a tremare, fissando quel volto che non accennava a muoversi. Quelle sopracciglia folte e unite a causa della fronte aggrottata, le labbra strette che testimoniavano il suo rifiuto di fronte alla mia richiesta.
    “Non c’è bisogno di pensarci ancora!”, tuonai. “Cosa mi sta succedendo?”
    Un'altra fitta mi sconvolse le braccia e le gambe.
    In quel momento mi sentii diviso in due. Una parte di me, che faceva a cazzotti con l’altra, era calma, ben disposta ad accettare le indecisioni di mio padre, e soprattutto disponibile ad aspettare.
    L’altra invece, era ribelle, dura e cupa, fuori controllo. Per un istante pensai potesse prendere il comando di me.
    “Papà”, ripetei, stavolta sforzandomi di rimanere calmo, mentre tentavo di frenare i tremori che continuavano a diffondersi, sempre più rapidamente.
    “Ecco, n-non ne sono sicuro”, balbettò.
    A quel punto la mia ira divenne cieca. “Ma certo! Aspettiamo qualche altro sintomo! A quel punto però sarà già troppo tardi! Quando morirò potrai chiedere aiuto!”, ringhiai.
    Il cuore cominciò a pompare sangue più del necessario, il respiro cominciò a mancarmi. I tremori mi fecero vibrare il corpo dall’interno, mentre la figura di mio padre diventò contornata di un rosso accecante. Reazione irrazionale la mia, pura pazzia. La parte di me fuori controllo, a quel punto, prese il sopravvento.
    Scattai in piedi, i denti in bella mostra, lo sguardo furioso puntato su mio padre. In un impeto di rabbia, esplosi.
    Sentii uno strappo violento, poi la prima cosa che vidi furono dei brandelli scuri svolazzare nell’aria. I miei jeans.
    Il sole appena sorto, dalla finestra, mi accecò. Fissai mio padre, la sua figura troppo in basso rispetto al normale. Solo quando chinai lo sguardo, notai gli arti inferiori dotati di artigli, e soprattutto ricoperti di una folta pelliccia fulva. Zampe. Zampe di un cane, o un non so che…
    “Cosa diavolo mi è successo?”, urlai, ma dalle mie fauci uscì un ringhio cupo e minaccioso. Provai a muovermi, ma ero intrappolato. Non solo nella mia stanza, troppo piccola per contenermi, ma ero imprigionato in un corpo... un corpo non mio.
    La rabbia che prima avevo provato, l’ira che avevo scatenato verso mio padre, ora stava cedendo il posto alla disperazione. Pura disperazione.
    Ero un mostro.
     
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    Titolo: Solo
    Licantropo scelto: Embry Call
    Personaggi: Embry, Sam
    Breve trama: Siamo più o meno a metà di New Moon. Embry si è accordato con Jacob per trascorrere insieme il pomeriggio, ma mentre pedala per raggiungere la casa del suo amico comincia a sentirsi strano...

    Solo



    Bruciavo.
    Bruciavo così tanto che mi sentivo soffocare.
    Fu quello l’inizio di tutto, il bruciore. Quel pomeriggio dovevo andare da Jake, avevamo in programma di risistemare non so quale pezzo del motore della sua Golf. Ma mi sentivo scottare, avvertivo anche una certa nausea, così fermai la mia bicicletta lungo la strada. Non riuscivo a guidare bene in quello stato. Mi trovavo vicino al bosco, piantai la bici a terra e mi ci inoltrai dentro. Pensavo che in mezzo agli alberi avrei trovato un po’ di fresco e che questo mi avrebbe rimesso in forze. Ma più camminavo, meno mi sentivo stabile.
    Avevo la testa china sui miei piedi incerti e traballanti. Li fissavo muoversi, un passo, un altro, un altro ancora, e poi il verde si confuse col marrone e le foglie morte per terra cominciarono ad assumere espressioni inquietanti, come di mostri. La nausea che prima era solo accennata era diventata vorticante e mi aveva riempito d’acido la bocca. La testa girava e girava ancora su se stessa, fornendomi immagini sfocate e confuse del mondo circostante.
    Sconvolto, crollai a terra. Un dolore pulsante cominciò a martellarmi nel cervello e io socchiusi gli occhi. Il buio si fece strada nella mia testa. Era pressante, opprimente, formava una cappa che incombeva minacciosa su di me e mi toglieva il fiato e mi faceva bruciare di dolore e di angoscia, ancora, ancora, ancora, come una tortura lenta, inarrestabile, senza scopo.
    Avvertii le mie labbra asciutte, troppo asciutte, ci passai la lingua sopra ma fu come sfregarle con la carta vetrata. Avevo sete, una maledetta sete, e avevo bisogno di trovare dell’acqua.
    Non so come, ma mi rialzai. Fu una fitta alla testa, la nausea cresceva. Persi la cognizione del tempo e mi ritrovai a bere da un ruscello poco distante. Non bevevo normalmente, affondavo la lingua nell’acqua e assorbivo con quella, come gli animali.
    Animali. Animali.
    Quel pensiero, almeno per un istante, mi riscosse. Dovevo tornare alla mia bici e chiedere aiuto. Alzai lo sguardo più che potevo, sorressi il mio corpo poggiando la schiena contro il tronco di un albero.
    C’era troppa luce, nonostante fossi in mezzo al bosco. Anche i miei occhi sembravano in fiamme. Ansimavo forte, il mio cuore pareva essersi ingrossato a dismisura e batteva all’impazzata, forse intenzionato a spaccare la mia cassa toracica.
    “Alzati, Embry, per la miseria” mi dissi, facendo seguire a quelle parole una serie di imprecazioni, tipiche più del mio amico Jacob che di me. Jacob, giusto. Lui mi stava aspettando. Sarebbe venuto a cercarmi. Se fossi riuscito a portarmi un po’ più vicino alla strada, lui mi avrebbe trovato.
    Rassicurato, mi concentrai per riuscire a stabilizzarmi in posizione eretta.
    La mia lotta sembrava destinata a fallire, ma mi aggrappai con le unghie al tronco dell’albero, rifiutandomi di scivolare verso il basso nonostante il lacerante dolore che si stava espandendo nelle mie vene. Gridavo ed ero anche certo di lacrimare, ma ben presto la mia voce si spense per lasciare il posto ad un suono più profondo, gutturale, sconosciuto. Un suono che non fece che aumentare l’intensità della tortura.
    Fu proprio in quel delicato momento, mentre le mie dita sanguinanti stavano ormai per cedere, che un piccolo scoiattolo passò sul tronco dell’albero a cui ero aggrappato e, per un interminabile secondo, mi parve quasi di incrociare il suo sguardo. E lessi in quegli occhi tutta la derisione e la perplessità per la mia condizione... Era ridicolo e stupido, ma questo lo avrei pensato solo in seguito. In quell’istante fui semplicemente, ed inevitabilmente, travolto dalla rabbia per quel minuscolo esserino e la sua sfrontata curiosità. Ero così arrabbiato che cominciai a tremare, mi sentivo scosso da fremiti violentissimi e sempre più frequenti.
    Il mio sangue sembrò rimescolarsi ed espandersi di volume, allargandosi in un tumulto nei miei vasi sanguigni, mentre una scarica improvvisa di un calore ancora più brutale e insopportabile di quello che avevo provato fino a quel momento mi attraversava la spina dorsale. Un istante di pura sospensione, in cui non fui né uomo, né bestia, né null’altro. Avvertii il mio corpo allargarsi e i miei arti allungarsi e la mia carne esplodere dentro se stessa, quasi sentii ogni singolo pelo crescere in un battito di ciglia sulla mia pelle ustionata, e finalmente percepii distintamente cosa fosse il suono che mi usciva dalla gola.
    Un ringhio.
    Rabbioso e furente, in preda a sentimenti così caotici e precipitosi da darmi la nausea, mi avventai contro lo scoiattolo, che aveva osservato sempre più costernato la mia metamorfosi.
    Non oppose resistenza. Lo colpii con unghie non umane, lo morsi con denti affilati ed enormi che maciullarono la sua carne come fosse stata burro. Mossi la testa avanti ed indietro, e mi imbrattai il muso del suo sangue.
    Non provavo ribrezzo. Non provavo nulla, se non rabbia e fame unite ad un’adrenalina sconvolgente. Lo mangiai tutto, sputando fuori il pelo, senza curarmi di nulla, senza chiedermi cosa stessi facendo, senza neppure pensare.
    “Embry! Embry, calmati. Dove sei?”
    Il grido nella mia testa mi riportò alla realtà. Era una voce umana. La mia? E di chi altri, se no? Mi resi conto di quello che stavo facendo. Osservai ipnotizzato e disperato i resti dei miei vestiti ridotti a brandelli che giacevano a terra. Tardavo a formulare una spiegazione razionale e sapevo perfettamente di non volerlo neppure fare.
    Allontanai scioccato i resti del povero scoiattolo e tornai al ruscello per lavarmi. Tremavo forte, non mi capacitavo di quello che era successo. Ma stavo camminando a quattro zampe e questo non potevo ignorarlo.
    Affondai un muso peloso nell’acqua e non riuscii a non specchiarmi nell’acqua impetuosa. Lanciai un ululato straziante.
    “Embry!” Di nuovo quella voce, familiare e straniera allo stesso tempo. “Embry, sono Sam Uley, non ti preoccupare, va tutto bene.”
    A quelle parole mi arrabbiai ancora di più, tanto da rimanerne accecato.
    “NO CHE NON VA BENE!” gridai, col pensiero, continuando ad ululare. “Ho male dappertutto, ho squartato uno scoiattolo, sento voci nella mia testa e mi sono trasformato in un gigantesco, mostruoso, schifoso lupo! Come puoi dirmi che va tutto bene???” Nel frattempo, correvo a destra e a sinistra come impazzito, abbattendo con zampate repentine alberi e cespugli. La mia rabbia era così potente che quasi non percepivo altro. Digrignavo i denti, scuotevo la testa, ogni cosa era velata del colore rosso dell’ira, ogni cosa, gli arbusti, l’erba, gli animali... Dovevo distruggere tutto. Era quello il mio unico, irrazionale desiderio.
    “Sto arrivando” mi disse Sam, così calmo da risultare asfissiante.
    “NO!” gridai, ancora. “Non ti voglio, non ti voglio! Chi sei? Chi ti credi di essere? Lasciami in pace, lasciami in pace!” La mia mente farneticante formulò i nomi delle uniche due persone che volevo al mio fianco in quel momento. Le uniche che avrebbero davvero potuto farmi stare meglio.
    “Non è ancora tempo per loro” mi disse Sam, con pietosa tristezza.
    Così compresi quale fosse la cosa peggiore. Non che fossi diventato un mostro. Non che sentissi le voci nella mia testa.
    Finalmente sapevo cosa fosse la setta di Sam. I protettori. Ero uno di loro, adesso. Ma i miei migliori amici non c’erano.
    Jake, con la sua ossessione per i motori e per Bella Swan.
    Quil, tutto palestra e battute.
    Il giorno che diventai un licantropo mi sentii per la prima volta nella mia vita veramente solo.
     
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    Titolo: Il potere di una carezza
    Licantropo scelto: Jacob Black
    Personaggi: Jacob, Bella, Sam
    Breve trama: Durante la strada di ritorno, dopo aver tracorso la serata al cinema con Bella e Mike Newton, Jacob non si sente molto bene...
    Imparerà a convivere col suo nuovo aspetto e saperlo controllare?

    IL POTERE DI UNA CAREZZA



    Il mio petto bruciava, il mio corpo era percorso da scariche e tremori incontrollabili, la strada davanti a me si faceva sfocata…
    Che mi sta succedendo?!
    Non riuscivo a guidare così…
    Cercai di arrancare con la mia Golf fino al confine e appena arrivai lì spensi il motore e scesi dalla macchina: lo sterzo stava quasi per fondersi nelle mie mani…
    Ma che diavolo mi stava accadendo?!
    Sentì un’irrefrenabile forza spingermi verso la foresta, sentivo l’istinto di correre, correre e non fermarmi più e contrariamente alla mia volontà le mie gambe cominciarono a muoversi velocemente verso gli alberi.
    Tanti punti interrogativi affollavano il mio cervello fino a quando il calore si fece più insopportabile.
    Non riuscivo a capire, eppure stava piovendo a dirotto e la temperatura non superava di certo i 5°!
    Avevo la febbre?
    Mi dicevo impossibile, sentivo una forza dentro che quasi avrei potuto spaccare un albero in mille pezzi con le mie mani o forse…
    Un tonfo e vidi sbriciolarsi davanti ai miei occhi un tronco di quercia dopo esser mici scontrato: mi massaggiavo la spalla dolorante mentre ad occhi sbarrati guardavo quello spettacolo stupefacente e raccapricciante allo stesso tempo…
    Cos’ero diventato?!
    Guardai le mie mani, il tremore era diventato così violento che non riuscivo a scorgerne la sagoma.
    Nel petto il calore cresceva come se mi stessero bruciando vivo.
    Volevo solo spegnere quel fuoco, desideravo solo che le fiamme diminuissero, che il calore andasse via e i tremori smettessero, volevo che tutto questo finisse: era un dolore lancinante.
    Istintivamente mi ritrovai sulla scogliera e in preda alla follia mi tuffai: bramavo solo un po’ di refrigerio, volevo solo che le fiamme andassero via.
    Sarei morto…
    Questo piccolo sprazzo di lucidità spuntò nella mia mente prima di superare la superficie dell’acqua: ormai non c’era niente da fare, ero dentro, sarei morto sicuramente o divorato dalle fiamme o annegato.
    Le onde cominciarono a strattonarmi sugli scogli, mi sbattevano violentemente dovunque quasi a farmi in mille pezzi e, pur non riuscendo a muovere nulla, sentivo il mio corpo sempre più forte e purtroppo ancora caldo, sempre più caldo quasi a vaporizzare l’acqua attorno a me.
    La tempesta si calmò lasciando il posto ad una pioggerellina leggera, le onde mi trascinarono sulla riva.
    Pur essendo immobile, dentro di me si stava scatenando l’inferno:mi misi a quattro piedi e presi forte la testa fra le mani quasi a volerla schiacciare.
    “Basta ti prego lasciami in pace!” urlai forte in preda al dolore, non so a chi non so a cosa, ma era davvero insopportabile.
    Mi trascinai più su, fino a quando un odore estremamente familiare mi travolse: ero inebriato, ero totalmente avvolto da quella fragranza e non capivo perché la sentissi così forte dato che attorno a me vedessi solo un mucchio di sabbia e alberi.
    Una forza strana dentro di me m’indicò da dove proveniva, i miei occhi videro qualcosa di luminoso in quel buio pesto, come se avessi una videocamera ad infrarossi, e la riconobbi all’istante.
    Era lei, seduta sul nostro tronco che si teneva forte il petto con le braccia, come sempre ultimamente, e la sentivo singhiozzare pur essendo a chilometri da me.
    Dolorante e tremante la raggiunsi, l’avrei sempre raggiunta, qualsiasi dolore, qualsiasi forza oscura, niente mi avrebbe impedito di starle accanto.
    A fatica mi misi in piedi ancora terribilmente percorso dai tremori, fracido… mi avvicinai a lei.
    “Jake…” disse fra le lacrime…pensava ancora a LUI, non si era accorta di me.
    Il suo sorriso presto si trasformò in orrore contemporaneamente al fuoco che adesso si era fatto ancora più forte e vigoroso dentro me.
    Gettai un urlo, non riuscì a trattenermi e sentì le mie ossa scricchiolare e la pelle quasi squarciarsi .
    I tremori erano diventati delle scosse violente e non riuscivo ad ordinare al mio corpo di fermarsi.
    Di colpo mi ritrovai a tre metri da terra, vedevo solo Bells indietreggiare spaventata.
    Una forza dentro inimmaginabile, mi sentito vivo più che mai, il bruciore era passato pur essendo ancora molto caldo e il tremore aveva smesso di torturarmi.
    Aprì bocca per tranquillizzarla, non capivo cosa la spaventasse, ma appena provai a parlare un ringhio forte uscì dalla mia bocca.
    Subito indietreggiai, mi guardai intorno…
    Ma che era successo? Cos’era stato?
    Poi mi accorsi che Bells era caduta per terra e indietreggiava sempre di più tremante nella sabbia, cercava di scappare, ma… da me!
    Mi guardai per vedere cosa avessi e tutto successe all’improvviso: una voce affollò la mia mente ma non era Bella, era una voce maschile.
    “Jacob, Jacob calmati! Jacob così le farai del male, devi riuscire a tornare in te”
    “ Chi sei?” adesso riuscì a parlare, ma contemporaneamente Bella fu travolta da un tremore più forte.
    “Jacob la stai spaventando, va via da lì”
    “Ma io non posso, è in pericolo, non posso lasciarla…”
    “Jacob sei tu il pericolo..”
    “Ma che…”
    “Guardati”
    A quelle parole i miei occhi percorsero il mio corpo e subito rimasi pietrificato e disgustato da me stesso, a posto delle mani avevo delle enormi e pelose zampe, il mio petto era cosparso da peli folti e rossicci e il mio cuore batteva forte e grande sotto quella pelliccia.
    “ Ma che cosa sono?”urlai alla voce nella mia testa “ Sono un mostro!”.
    Un altro ringhio forte, un altro singulto di Bella.
    “Jacob ti spiegherò tutto con più calma, adesso devi tornare in te, devi tornare umano, concentrati…”
    “Ma… non ci riesco! Non so nemmeno come abbia fatto a diventare così!”
    Ero agitato, arrabbiato, furioso, e incontrollabile: le mie corde vocali emettevano solo dei ringhi forti e potenti, mentre le mie zampe avanzavano verso Bella.
    “ No Jacob! Devi andare via da lì, non devi fargli del male!”
    “ Ma io non…” appena parlai alla voce nella mia mente, vidi la mia zampa ad un centimetro dal viso di Bella,ma riuscì a fermarmi inorridito da me stesso: stavo per sfigurarla.
    “Maledizione! Ma perché? Io non voglio fargli del male!”
    “Lo so Jacob, ma adesso ascoltami, resta fermo, prova a chiudere gli occhi e pensa a qualcosa di estremamente piacevole, pensa a qualcosa che ti renda felice…”
    Trovai la forza di comandare il mio corpo e fermarlo, non mi sarei mai perdonato di fare del male a Bella.
    Pensai proprio a lei, a quella sera, alla sua mano nella mia, alle sue parole , non voleva darmi delle speranze, ma voleva che restassi comunque con lei, il desiderio si era acceso dentro di me e adesso stava tornando forte.
    Sentì come una piccola pressione sulla mia guancia, era così reale, come se lei mi stesse sfiorando.
    Stavo sognando o…
    Aprì gli occhi e la vidi sorridermi con le guance ancora inumidite dalle lacrime, ma il suo sguardo era di una dolcezza infinita, non era più spaventata da me.
    Istintivamente alzai la mia zampa per andare a racchiudere la sua manina sulla mia guancia, e d’un tratto vidi che la distanza tra noi diminuì, quella strana forza sparì dentro di me e sentì di essere di nuovo me stesso.
    La mia mano, che adesso la stava accarezzando, era di nuovo di carne ed ossa, senza strani peli, senza strani artigli.
    La abbracciai forte, qualsiasi cosa mi fosse successo, lei mi aveva salvato.
    “Grazie” sussurrai fra i suoi capelli.
    Sospirò forte sul mio petto e mentre mi godevo questo bellissimo momento con la mia Bells fra le braccia, lei girò la sua piccola testolina e con le sue morbide labbra sfiorò dolce il mio petto nudo.
    Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, mi scostai e la guardai stupito ricordando le sue parole di qualche ora fa: <non aspettarti altro> aveva detto, ma quel gesto spazzava via ogni cosa, tutto quello che mi ero immaginato sempre nei miei sogni, questo li superava di gran lunga.
    Lei abbassò lo sguardo imbarazzata, ma io non potevo permettere di lasciarla andare proprio adesso che…
    Le alzai il mento con un dito e la costrinsi a guardarmi, non so cosa i miei occhi gli stessero dicendo ma le mie labbra si erano già dischiuse e avvicinate alle sue piccole e fragili: quanto le avevo desiderate!
    Mi aspettavo che indietreggiasse ma eccola stupirmi nuovamente: socchiuse gli occhi e si sporse impercettibilmente verso di me.
    Titubante mi avvicinai ancora di più riducendo la distanza ad un soffio e la sfiorai dolcemente come se fosse un piccolo fiore delicato.
    Mi scostai non credevo che fosse vero, non poteva essere reale, ma lei rimase immobile, come se non ne avesse abbastanza, come se ne volesse ancora, come se….mi desiderasse, aspettasse le mie labbra sulle sue…
    E come sempre da quando la conoscevo esaudì ogni suo desiderio e stavolta le mie labbra la raggiunsero più sicure, più convinte, più decise, per cominciare a danzare insieme dolce e sensuale come solo lei sapeva fare, come solo lei sapeva dare al mio cuore.

    Che anno è che giorno è
    questo è il tempo di vivere con te
    le mie mani come vedi non tremano più
    e ho nell'anima
    in fondo all'anima cieli immensi
    e immenso amore
    e poi ancora ancora amore amor per te
    fiumi azzurri e colline e praterie
    dove corrono dolcissime le mie malinconie
    l'universo trova spazio dentro me
    ma il coraggio di vivere quello ancora non c'è

    (Tratto da: I giardini di marzo di Lucio Battisti)
     
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    Titolo: Alone in my mind
    Licantropo scelto: Leah Clearwater
    Personaggi: Leah Clearwater, Seth Clearwater, Sam Uley
    Breve trama: Il dolore di una giovane donne che viene abbandonata insipiegabilmente dal suo ragazzo, amplificato da qualcosa di nuovo, qualcosa di dilaniante che le sta inevitabilmente per accadere. Dovrà trovarsi faccia a faccia con Sam e con il fatto di dover condividere con lui ogni pensiero.
    Link a video di youtube: www.youtube.com/watch?v=ccZgxmxm32k



    Alone in my mind




    “Amore, dai vieni qui… guarda che non ho ancora finito!”.
    “Sarà meglio che tu la smetta subito… lo sai che quando mi arrabbio sono pericolosa”.

    Strizzai gli occhi. Sentivo quelle voci più forti che mai.
    Sentivo quelle sensazioni vive, riecheggiare tra le pareti del mio cuore martoriato.
    Quanto era passato, un anno… forse due, dieci, cento, mille!

    “Sei uno stupido! Sai bene che l’acqua è gelida… non vorrai farmi prendere un malanno?”.
    “Certo che no, piccola! E poi, ci sono io a riscaldarti!”.

    Come era possibile riuscire a vedere così nitidamente una scena davanti ai propri occhi?
    Come era possibile sentire chiaramente le voci passate, sbattere contro le pareti della propria testa? Tra i propri ricordi?

    “Sei bellissima lo sai? Anche quando fai la brontolona! Adoro queste piccole rughe che ti si formano sulla fronte”.
    “E’ inutile che fai il ruffiano. Non dimentico così facilmente e non basteranno un paio di complimenti per farmi desistere”.
    “Sei sempre più adorabile invece!”.

    Ecco, il momento peggiore. Il ricordo più atroce! Le sue labbra calde sulle mie…
    Come se stessi guardando un film e sul momento più bello, il dvd si intoppa lasciandomi con l’amaro in bocca.
    Probabilmente… era meglio così!

    “Ti amo!”.
    “Io qualcosa di più”.

    Toccavo con le dita la sua superficie liscia, come a sottolineare il fatto che quello fosse l’unico oggetto in grado di contenere una cosa così perfetta come l’amore.
    Più la osservavo… più mi osservavo e più mi rendevo conto che quella lì non ero io.
    Non ero più io!
    La mia vecchia me era sepolta da un pezzo. Da quanto? Un anno, due, cento, mille!
    Quel connubio di felicità, interrotto da qualcosa che non mi era dato sapere.
    Mi sentivo così sola, mi sentivo così alienata da quella vita e da quella gente…non mi era dato sapere perché il mio cuore doveva sanguinare in quel modo!

    “Ma che stai dicendo? Che significa… non, non capisco”.
    “Non devi piangere… tu non c’entri. E’ complicato”.
    “Non ha senso… mi devi almeno una spiegazione. Non puoi lasciarmi così!”.
    “Ti prego… io non ho smesso di amarti”.
    “E allora, qual è il punto? N-non riesco a capire”.
    “Mi dispiace! Odiami, odiami con tutta te stessa se questo ti aiuterà ad andare avanti ma, da oggi in poi ti prego, smetti di versare lacrime per me!”.

    Te l’avevo promesso, lo avevo promesso a me stessa… ma era difficile!
    Era doloroso, faceva male e io volevo solo scappare dalla mia esistenza.
    Sembrava che le lacrime amare che versavo incessantemente, fossero l’unico mezzo per riuscire a sopravvivere. Avrei voluto tanto mantenere la promessa, ma non ci riuscivo.
    Ancora una volta, presi ad inondare quel piccolo foglio lucido e doloroso di lacrime, ancora una volta lo portavo al viso per avere la sciocca illusione di tornare a quel momento, di tornare a quella vita. Avevo la fronte che bruciava e le lacrime avevano portato con se un grosso dolore fisico. Mi sentivo morire e più mi guardavo, più vedevo com’ero una volta e più le mie ossa scricchiolavano e dolevano.
    Che cosa mi succedeva? Stavo letteralmente morendo… sì, probabilmente era giunta la mia ora.
    Ridicolo! Una ragazza di diciannove anni che muore di crepacuore, il dolore le si era trasformato in qualcosa di fisico e reale ed era morta!
    Ma che dici Leah, hai solo una banalissima influenza!
    Probabile, ma faceva male e unito al sangue che sgorgava dalle ferite del mio cuore, mi stava ammazzando lentamente.
    Mi stesi sul letto della mia camera, rannicchiata su un fianco per cercare di alleviare il dolore che cresceva sempre di più. Cercavo di sostenere il mio corpo che urlava con le braccia, avvolgendole intorno ad esso ma sembrava essere tutto inutile.
    Ma che diavolo mi stava succedendo? Mi sentivo letteralmente scoppiare e avevo paura che la mia pelle si sarebbe dilaniata da un momento all’altro.
    A distogliermi momentaneamente da quel dolore, sentii dei passi pesanti avvicinarsi alla porta della mia camera. La nostra casa era così piccola.
    Il rumore dei passi era cessato per lasciare il posto a quello delle nocche pesanti di mia madre, mio fratello o di mio padre sbattere contro il legno della porta.
    Non riuscii a elaborare nessun suono, non avevo la forza… le lacrime erano pesanti, il dolore era atroce!
    “Leah, che hai? Non stai bene?”.
    Mio fratello Seth, sempre così premuroso. Anche quando non meritavo nessun buon trattamento.
    Non avevo idea di cosa mi succedesse e non riuscivo a pensare. Era troppo doloroso!
    “N-niente Seth…”.
    Sentii una sua mano calda poggiarsi sulla mia spalla. Sobbalzai.
    “Caspita, sei bollente… hai la febbre!”, disse convinto. Anche lui era caldo, ma non quanto me.
    Forse girava un virus e ci aveva colpiti entrambi.
    Mi rigirai dall’altra parte del letto a fatica e, nel farlo, la cosa più preziosa che avevo, ciò che conteneva ancora il mio amore scivolò via. Cercai di afferrarla, ma Seth fu più veloce… lui non stava scoppiando come me.
    Afferrò con le sue mani troppo grosse per la sua età, il foglio lucido e liscio prima che toccasse il pavimento. Rigirai il capo dall’altra parte cercando di evitare il suo sguardo.
    “M-ma, Leah…”, sibilò. “Dovresti smetterla con questa foto, adesso lui sta con Emily!”, tuonò quasi arrabbiato.
    “Fatti gli affari tuoi, nessuno ha chiesto la tua opinione!”.
    Pronunciando quelle parole ebbi un rantolo. Le mie ossa continuavano a scricchiolare, mi sentivo come una vecchia signora che non è più in grado di muoversi, ma non volevo darlo e vedere a mio fratello. Secondo lui, ero esagerata e dovevo lasciare in pace Sam.
    “Sei una pazza maniaca Leah, un giorno o l’altro Emily si stuferà della tua ossessione”.
    Emily mi considerava una pazza ossessionata, e Seth le dava ragione. Lei mi aveva rubato l’amore della mia vita, e mio fratello prendeva le sue parti!
    Mi alzai noncurante del mio corpo che scalpitava e mi posizionai dritta di fronte a lui.
    “Tu non sai niente, tu non capisci… nessuno capisce! Emily dovrebbe pensare a ciò che ha fatto e non alla mia “ossessione” per Sam”, Tuonai infuriata.
    “Tu sei egoista, non capisci che Sam la ama e cerchi in tutti i modi di rovinar loro l’esistenza. Se davvero lo amassi, dovresti lasciarlo libero”, mi rinfacciò lui, arrabbiato quasi quanto me.
    Era la prima volta che reagivamo così l’uno contro l’altro, lui aveva la mascella contratta per la tensione e io… io stavo, ringhiando?
    “Dillo di nuovo Seth, di’ ancora che sono un’egoista!”, sibilai a denti stretti, a un centimetro dal suo viso. Un inspiegabile calore bruciante mi invase interamente, lo percepivo in ogni centimetro della mia pelle dolorante. Era come se dentro di me, avessi una camera magmatica colma di lava che stava lentamente risalendo in superficie, strattonando e lacerando al suo passaggio le pareti del mio corpo. Cominciai a tremare convulsivamente, sotto gli occhi rabbiosi di Seth.
    “Sei un’egoista Leah!”, aggiunse mormorando, per provocarmi ancora di più.
    Fu in un istante che vidi rosso. Vedevo con gli occhi della rabbia e mentre continuavo a vibrare come una corda di violino tesa all’ennesima potenza, indietreggiai pesantemente.
    Ma, mentre il mio cervello cercava di farmi muovere in direzione della finestra della mia camera, qualcosa dentro di me ebbe la meglio. Qualcosa di selvaggio e irrazionale!
    Sentii la mia pelle squarciarsi letteralmente, aprendo un varco tra me e quella strana cosa che sentivo dentro.
    Scoppiai!
    Saltai con un balzo la finestra della mia camera e atterrai sull’erba morbida del nostro giardino. Mi voltai in direzione di casa dove c’era Seth ma sgranai gli occhi quando vidi che, al suo posto, c’era un grosso lupo color sabbia. Cercai di chiamarlo, di avvertirlo del pericolo, ma dalla mia gola fuoriuscii soltanto un profondo ululato.
    Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, abbassai la testa e riuscii a vedere solo due grosse zampe grigie.
    Ma che diavolo è successo?
    Leah?, fece una voce nella mia testa. La riconoscevo, era la voce di mio fratello!
    Seth, ma che sta succedendo? Sono, s-sono un l-lupo?, pensai a mia volta, balbettando.
    Leah?. Una terza voce si unì al nostro smarrimento.
    Avevo sentito tante volte quella voce nella mia testa, l’avevo sognata tante volte ma, in quel momento, la sentii incredibilmente reale e vicina.
    Leah, rispondimi!, insisteva la sua voce. Non la stavo affatto immaginando.
    Sam?, azzardai titubante. Forse ero impazzita, forse la febbre era più alta di quanto pensassi.
    Ma com’è possibile, tu… ti sei trasformata?, esordì la voce di Sam.
    Ma che diavolo stava dicendo? O meglio, cosa elaborava il mio cervello delirante per la febbre.
    Eppure, mi sentivo magnificamente. Fisicamente almeno!
    Leah, sta tranquilla. Ormai sei parte del mio branco… sei una di noi adesso.
    Ma che significa? Io sto delirando per la febbre, io…
    No! Tu sei un licantropo… proprio come me! Non immaginavo che anche tu ti saresti trasformata.
    Non è possibile, mormorai flebilmente.
    Lo so, ma è così. D’ora in avanti, tutto cambierà. Lo sentivo chiaramente, sentivo la sua voce che tanto amavo. Ma perché sei nella mia testa, Sam che scherzo è questo.
    Leah, noi comunichiamo in questo modo, per coordinarci. Devi stare calma, o non riuscirai a ritrasformarti e io non potrò spiegarti tutto.
    Ma cosa stava dicendo? I miei pensieri in bella mostra… non era reale, non poteva esserlo.
    Sam, tu puoi leggere i miei pensieri?, biascicai interdetta.
    Io… io… si Leah. P-posso leggerti nella mente quando sei un lupo. Concluse sospirando.
    Non mi importava nulla di ciò che ero diventata, non mi importava se ero entrata a far parte di un branco di lupi e non mi importava di cercare di trovare una spiegazione razionale a tutto quello che stava accadendo!Non pensai a mia madre, a mio padre o a Seth che in quel momento stava attraversando la stessa strada a me destinata. Non mi importava più nulla!
    Se credevo di aver vissuto i momenti peggiori della mia vita nel momento esatto in cui Sam mi aveva abbandonata bè, in quel preciso istante dovetti ricredermi.
    Mi sentivo in trappola, era in trappola dei miei stessi pensieri e probabilmente ero condannata all’eternità. Lentamente, grosse lacrime cominiarono a rigarmi il muso grigio. Non m’importava cosa fossi diventata, non m’importava più nulla della mia vita.
    Era finita.
    Leah coraggio, non sei più sola, mormorò la sua voce nella mia testa.
    Ti sbagli Sam, lo sono. Ora, più che mai.
    Abbassai il capo e, infrangendo ancora la promessa fatta, piansi.

     
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    Titolo: Broken
    Licantropo scelto: Jacob Black
    Personaggi: Jacob Black, Billy Black, Bella
    Breve trama: Jake ha appena salutato Bella, e tornando a casa in macchina si sente sempre peggio. la sua vita sta per cambiare, anche se non lo sa ancora.


    BROKEN



    L'aria gelida che entra dai finestrini aperti mi scivola addosso senza darmi fastidio, mentre Bella accanto a me si stringe fra le braccia per scaldarsi e mi guarda preoccupata - Jake, hai la febbre? Sei bollente! -
    La mano di bella sulla fronte mi fa rabbrividire. E’ gelida, o forse sono io che scotto. Mi sento strano, un calore innaturale mi avvolge, proviene da dentro, nulla a che vedere con la fredda serata di Forks.
    - Sono sano come un pesce, sei tu che hai le mani ghiacciate. - replico. Ma appena l'ho detto non ne sono più così sicuro, una strana sensazione di malessere mi assale. La scaccio infastidito, siamo soli nella mia macchina, finalmente soli, non posso sentirmi male proprio adesso. Mi volto a guardarla sforzandomi di continuare a sorridere, per non farla preoccupare.
    All'improvviso è come se i miei sensi diventassero più acuti, per un attimo riesco a distinguere perfettamente il volto ansioso di Bella, nonostante il buio, e sento il suo cuore accelerare mentre la cingo con un braccio. Confuso scuoto la testa e la strana sensazione scompare così com'è arrivata. Cosa mi sta succedendo? Mi fisso le mani, che tremano leggermente.
    - Mi autoinviterei da te... - riesco a dire, prima che uno spasmo mi scuota dalla testa ai piedi - ma forse è meglio che vada a mettermi a letto... -
    Bella mi fissa in ansia, forse pensa che farò la fine di Mike. Ma non sto per vomitare, e quello che sento non ha niente a che vedere con una normale influenza.
    Resta a guardarmi mentre mi allontano, decisamente non è stata la serata che mi aspettavo. Ho fretta di arrivare a casa, sto sempre peggio ogni momento che passa, alla sensazione di calore si è aggiunto un dolore sordo ai muscoli, li sento tendersi e contrarsi faticosamente ad ogni mio movimento, anche respirare è diventato difficile.
    Le mie mani strette convulsamente al volante hanno uno spasmo, facendo sbandare la macchina. Rallento, ormai incapace di guidare, non è una grande idea schiantarsi contro un albero proprio ora che le cose con Bella iniziano a girare nel verso giusto. Nonostante il dolore, mi viene da sorridere ripensando alla nostra conversazione. Gli piaccio, gli piace stare con me... Non nel senso che vorrei io, ma per quello c'è tempo. Non ho dubbi sul fatto che staremmo benissimo insieme, devo solo aspettare che se ne accorga.
    Tiro un sospiro di sollievo quando vedo da lontano le pareti sbiadite di casa. La luce in salotto è ancora accesa, questo vuol dire che mio padre è ancora sveglio, e che mi accoglierà con mille domande, alla vista della mia faccia. Incrocio il mio guardo nello specchietto, il volto livido e l'espressione contratta, e raccolgo le ultime energie nello sforzo di apparire rilassato.
    Abbandono la macchina sul ciglio della strada davanti a casa, incapace di centrare la porta del garage, ma le mie mani tremano troppo anche per centrare il buco della serratura. Billy, che mi ha sentito arrivare, spalanca la porta e rimane ad osservarmi dubbioso. - Jake, sei sicuro di stare bene? Sei pallido... -
    - Probabilmente ho preso l'influenza che c'è in giro - replico per evitare ulteriori domande.
    Crollo sul letto completamente vestito, mentre sento i muscoli tendersi dal dolore che ora si è diffuso in tutto il corpo. Ho l'impressione di andare a fuoco, il calore mi brucia da dentro le ossa. Pensavo che a letto sarei stato meglio, ma la strana sensazione aumenta, e così anche il dolore. Il rumore della sedia a rotelle di Billy si avvicina e si ferma sulla porta.
    - Pa-Papà... - balbetto, facendo fatica anche a parlare - non credo di stare bene... -
    Il dolore non la smette di aumentare, si è esteso alle ossa, alle giunture, persino alla pelle, ogni parte di me sembra tendersi fino a spezzarsi. Ho paura a muovermi, non sono mai stato così male, nemmeno quella volta che, da piccolo, mi sono rotto un braccio saltando dagli scogli.
    Billy mi fissa in silenzio, con uno sguardo strano. Non si muove e non fa niente per avvicinarsi, sembra aspetti qualcosa.
    - Papà! - urlo mentre sento la rabbia montare, è un'emozione violenta e irrazionale, che non sono sicuro di riuscire a controllare. Un ringhio mi sfugge dai denti serrati e lo fa sobbalzare.
    - E' tutto a posto, Jacob... - mormora.
    Un tremito mi scuote in tutto il corpo e mi sembra di nuovo di avere i sensi amplificati, posso distinguere ogni ruga di preoccupazione sul suo volto e il battito accelerato del mio cuore. All'improvviso un suono stridulo mi trapassa i timpani e mi fa sobbalzare, solo quando mio padre solleva la cornetta del telefono capisco da dove proviene.
    Posso sentire la voce preoccupata di Bella che chiede di me, avevo promesso di chiamarla. Allungo una mano tremante per farmi passare il telefono, ma Billy mi ignora e riattacca senza smettere di fissarmi.
    - Perché non me l'hai passata? - Ringhio stupendomi della rabbia che affiora dalla mia voce.
    Mio padre indietreggia senza rispondere. Balzo in piedi, ignorando i muscoli che urlano dal dolore, il mio corpo trema, senza che io riesca a controllarmi, e la rabbia mi scorre nelle vene come lava bollente. - Almeno lei si preoccupa di sapere come sto! - urlo, ma le mie ultime parole vengono inghiottite da un ruggito disumano, mentre con un umore di stoffa strappata, la stanza cambia prospettiva, d'un tratto mi sembra troppo piccola, sobbalzo e mi volto di scatto urtando una lampada, e solo quando mi allungo per prenderla, noto le gigantesche zampe coperte da un folto pelo rossiccio. Al posto della mia esclamazione di sgomento, emetto un ringhio terrificante, che copre il rumore della lampada che si infrange a terra, è un verso che non ha nulla di umano. Sono io? Brandelli dei miei vecchi vestiti sono sparpagliati sul pavimento, due metri più in basso.
    Non può essere, queste cose non succedono nella realtà. Lentamente, riluttante, mi volto verso il piccolo specchio appeso alla parete. Gli occhi serrati, ho paura di ciò che vedrò riflesso nello specchio. Magari è la febbre, magari sto sognando. La mia ultima speranza si spezza nel momento esatto in cui apro gli occhi e incrocio quelli del mostro che mi fissa, due occhi neri, fin troppo familiari su un volto che non è il mio. Con una zampata lo specchio finisce a terra in mille pezzi Non resto a guardarlo cadere, le mie nuove zampe corrono già verso la foresta, come se non avessero mai fatto altro. Oltrepasso Billy senza voltarmi a guardarlo, sento che è di nuovo al telefono ed il nome di Sam mi giunge alle orecchie prima di oltrepassare la porta ed uscire nella notte. Il dolore è sparito, corro senza fatica finché non perdo il senso dell'orientamento e mi arrendo a quello che sono diventato. Crollo a terra, con la testa fra le zampe. Un guaito, che è un misto di dolore e disperazione, mi sfugge dai denti, ho gli occhi umidi e un groppo in gola, chissà se i mostri possono piangere.
    Sono sul punto di scoprirlo quando sento delle voci. Balzo in piedi ringhiando prima di accorgermi che assieme alle voci arrivano anche delle immagini e che sta succedendo solo nella mia testa. Sento la voce di Sam, Jared, Paul e persino di Embry. Non me lo sto immaginando, posso sentire i loro pensieri, anche loro ci sono passati, e scopro come fare per tornare umano, devo solo calmarmi. Secondo loro non è così male, non siamo mostri. E allora perché ho il divieto di rivedere Bella? Potrei farle del male, potrei perdere il controllo. Perché i pensieri di Sam non riescono ad abbandonare l'immagine del volto sfregiato di Emily? Non siamo mostri, dicono.
    Mi fisso le zampe, immagino gli artigli sulla fragile pelle di Bella. Non siamo mostri.
    Un cervo di passaggio sbuca da dietro un albero, gli basta incrociare il mio sguardo per fuggire terrorizzato.
    Senza muovere un muscolo lascio che il mio corpo abbandoni la forma di lupo, in un attimo sono di nuovo umano, abbandonato sulle foglie umide. E nel silenzio innaturale che si è creato, dove nessuno mi può vedere, lascio che le lacrime scendano a bagnarmi le guance.

    Edited by anyaccia - 1/7/2010, 20:31
     
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5 replies since 9/6/2010, 20:48   300 views
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